Nucleare in Veneto?
Ricevo da Erasmo Venosi la segnalazione di questa sua intervista che spiega bene la questione del nucleare in Veneto e quali siano le alternative. é esemplificativo e potrebbe valere per ogni altra realtà italiana
CORRIERE DEL VENETO- CORRIERE DELLA SERA del 13 luglio 2009
L’intervista Parla Erasmo Venosi, fisico e ricercatore
«Centrale nucleare in Veneto l’unico sito adatto è Mestre»
Centrali nucleari, Galan: «Disposti all’apertura. Non siamo Khomeinisti»
ROMA – Il governo riporta per mano il nucleare in Italia, Galan gli apre la porta in Veneto. Ora la parola passa ai tecnici. In sostanza a chi traduce in «dove e come» un’impiantistica da sempre legata, nell’immaginario collettivo, a paurose scene di incendi epocali, fuga di radiazioni devastanti e lacrime piante da intere popolazioni. A torto o a ragione. Ad abbozzare «un’ipotesi veneta » è Erasmo Venosi, fisico nucleare, ricercatore universitario e «braccio destro» di Thomas Brown, professore associato di Elettronica Organica all’Università «La Sapienza» di Roma (conosciuto come «l’uomo del fotovoltaico di terza generazione »). Venosi, pugliese di nascita e vicentino d’adozione, non nasconde la sua esperienza politica nei Verdi, su cui però fa prevalere gli studi di una vita, anche a costo di mettersi in situazioni scomode. Come questa.Galan apre al «Veneto nucleare». Quali i siti ipotizzabili, secondo lei, per una centrale?
«Una premessa è d’obbligo: nel panorama nazionale, il Veneto non spicca per caratteristiche ideali ad ospitare dei reattori. Caratteristiche che invece hanno tre zone in Italia: la Sardegna, il Salento e una fascia territoriale individuata fra il Piemonte e la Lombardia. La sede ipotizzabile, comunque, in questa regione potrebbe essere Mestre, visto che soddisfa le tre variabili necessarie per tale operazione: disponibilità immediata di acqua di raffreddamento, che serve in quantità altissima e nell’immediato; assenza di eventi sismici particolari, ovvero sopra il settimo grado della scala Mercalli ed, infine, una certa stabilità geologica nel senso che il terreno lì si è ben sedimentato nel corso dei millenni. Mestre, dunque, è un’ipotesi accettabile sulla carta. Con un vincolo: la concentrazione di industrie di Marghera che, a questo punto, si dovrebbe delocalizzare oppure proteggere con degli impianti, anche se molto costosi».
In cosa consiste il rischio in questo caso?
«Ogni attività industriale è caratterizzata dal rischio, che dipende da due fattori: la probabilità che un evento si realizzi e le conseguenze che può determinare. Ora: l’incidente di un reattore è la fusione del nocciolo e altri elementi di vario tipo, come emissioni di altre industrie vicine, radiazioni in atmosfera, terremoti o alluvioni. L’incidente ha una probabilità di verificarsi ogni 10 mila anni e gli effetti che produce variano. Se succede in una zona disabitata sono minimi, ma se è antropizzata sono massimi. Basti pensare a Chernobyl: ha densità abitativa praticamente bassissima e nemmeno comparabile con la pianura padana. Lì evacuarono in un raggio di 30 Km tutte le persone per 15 mesi e per 5 mesi in un raggio di 70 km. Provate ad applicarlo in pianura padana con un raggio di 30 o 70 km partendo da Mestre! Che si fa? Si evacuano milioni di persone? Quindi, anche se la probabilità è bassa, in ambiente densamente antropizzato, il rischio diventa alto. Dobbiamo però avere l’onestà di ammettere che bisognerebbe costruire la centrale in un deserto per non averne».
Da esperto, se si dovesse realizzare una centrale in Veneto, che tipo di impianto suggerirebbe lei?
«Io suggerirei il reattore AP 1000 che è a sicurezza passiva. E’ la cosiddetta terza generazione plus. Non foss’altro perchè è coinvolta un’industria italiana, la Ansaldo, in una joint venture con la Westighouse. Ma io, personalmente, sono per una forte sperimentazione nell’amplificatore di energia di Rubbia. E’ un reattore che usa il torio, elemento radioattivo, che è 3000 volte più disponibile dell’uranio e produce una quantità minima di plutonio, che è il vero ‘veleno’ dei prodotti di fissione nucleare e che serve a fare le bombe atomiche: ne bastano 8 kg per avere una potenzialità pari a quella di Nagasaki. Credo, però, che la vera domanda da porsi sia: quanto utile è l’investimento? Nel bilancio energetico italiano, l’energia elettrica incide per il 18 per cento. Sono stati programmati quattro reattori European Powe Reactor che forse nel 2020 produrranno una quantità di energia che è pari a meno del 3 per cento del bilancio energetico nazionale. Le riduzioni di anidride carbonica connesse a tale energia prodotta con il nucleare sono pari a circa il 7 per cento. Quindi i benefici sono praticamente nulli su tutti i fronti».
Silvia Maria Dubois
13 luglio2009