Letizia Palmisano Giornalista Ambientale

Perché siamo tanto attaccati agli oggetti (e perché accumulo libri?) intervista alla psicoterapeuta Giovanna Busto

In questi giorni sto finendo gli ultimi paragrafi del libro 7 vite come i gatti in cui racconto tante storie di economia circolare.. Il libro mixa le mie esperienze con quelle di altre persone che ho incontrato sulla mia strada verde e che, quando ho potuto, ho anche intervistato. Tanti i  protagonisti del cambiamento ed esperti con cui  ho avuto il piacere di condividere una parte del mio cammino per cercare di approfondire meglio alcuni temi. 

Ora arrivata quasi alla fine del libro, presa dalle varie riletture, mi sono fermata e mi sono posta una domanda che periodicamente mi faccio: riesco ad essere virtuosa come vorrei? La risposta per ora è “purtroppo no”, sebbene la sfida con me stessa sia ogni anno cercare di fare sempre meglio (e il più velocemente possibile). Per ciò che riguarda ad esempio il cumulo di oggetti, direi di potermi dare la sufficienza: effettivamente rispetto a 15 anni fa ne possiedo meno della metà. Tra le tante cose che voglio infatti condividere con voi che state leggendo questo articolo  vi è la confessione di essere una ex accumulatrice seriale.

Confessioni di un’accumulatrice  seriale di libri

Anche io però ho un tallone d’Achille: i libri! Ne leggo moltissimi, ne posseggo dieci volte tanto di quelli che riuscirò mai a leggere e per di più ho un debole per la carta (mentre non riesco a rilassarmi leggendo da un ebook reader, forse perché passo tutto il giorno di fronte a uno schermo già per lavoro). Così in questa casa le librerie sono ben tre, non sono nemmeno piccole e sono strapiene! A dare man forte sono anche mio marito e mio figlio. Ok a giustificazione posso dire che una gran parte li ricevo in regalo, che una fetta viene da bancarelle e negozi dell’usato, che molti li recensisco pure…

Peraltro do via diversi volumi ogni anno, ma per ora quelli che escono da casa sono sempre meno di quelli che entrano. Tutto ciò sebbene io sia cosciente che una gran parte di quelli che vorrei leggere li potrei trovare in biblioteca, istituzione a cui potrei regalare quelli che non hanno e che io ho già letto (cosa che in queste quattro mura si fa… in piccola parte). Tutto ciò lo sa benissimo mio figlio Bruno che ogni volta che viene alla Biblioteca Mameli al Pigneto, va a controllare che i (suoi ex) libri siano ancora lì, disponibili ove avesse desiderio di rileggerli.

Spesso riempiamo casa di oggetti

Ma perché spesso  riempiamo la nostra casa di oggetti? Perché poi vi sono delle tipologie di beni – nel mio caso i libri, per altri ad esempio i DVD – da cui quasi soffriamo quando ce ne distacchiamo? Perché finiamo per antropomorfizzare ed affezionarci ad un bene inanimato?

Essendo una persona molto curiosa – sennò non farei la giornalista – ho pensato di chiederlo a chi potesse spiegarmi cosa si cela dietro alcune nostre scelte irrazionali. Mi sono così fatta due chiacchiere con la psicoterapeuta Giovanna Busto alla quale ho chiesto perché  spesso il possedere migliaia di oggetti ci dia appagamento e come mai in alcuni casi si arrivi a forme patologiche.

Perché accumuliamo oggetti in maniera apparentemente razionale?

Il tema del possesso e dell’accumulo di oggetti è legato all’appagamento che questa sensazione ci trasmette” – mi spiega la Dott.ssa Busto. “Bisogna indagare da cosa nasca la necessità di accumulare, azione che viene compiuta senza che ci si preoccupi minimamente delle conseguenze tra le quali il consumo ambientale, delle materie prime, dell’impatto sull’ecosistema”. 

Spesso, prosegue la psicoterapeuta, una vera e propria forma di accumulo dipende da una insicurezza che nasce dagli stili di attaccamento delle persone. L’attaccamento “può essere definito come un sistema dinamico di atteggiamenti e comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico fra due persone, un vincolo le cui radici possono essere rintracciate nelle relazioni primarie che si instaurano fra bambino e adulto”(John Bowlby1982) . Insomma comprare e possedere finisce per dare un futile e breve appagamento. 

Le persone che hanno ricevuto un attaccamento sicuro, sviluppano dentro di sé uno spazio solido della relazione con l’altro ovvero se io porto dentro di me l’oggetto interiorizzato, io non ho bisogno di possedere l’oggetto”. In questo caso sarà più semplice ricordarci che un bene può avere una funzione strumentale (a me serve il buco nella parete, non possedere il trapano… che potrei farmi prestare se ne faccio un uso saltuario, né tanto meno mi importa in tal caso di avere tra le mani un modello figo con mille accessori) e non sviluppo un attaccamento. 

L’insicurezza porta all’avidità e all’accumulo

Persone con uno stile di attaccamento insicuro, ansioso, con difficoltà interpersonali potranno essere portati, mi spiega la dottoressa, ad avere invece tendenze di accumulo e di acquisto compulsivi, attribuendo valore agli oggetti da cui difficilmente riusciranno a staccarsi. Nasce in essi un sentimento di avidità nei confronti delle cose. “L’insicuro è come se avesse un vuoto, immaginiamolo come un buco che cerca di colmare accumulando  oggetti. Si avverte come una mancanza che cerca di riempire attaccandosi agli oggetti”. 

Le parole della  Busto, mi ricordano come di avidità e sostenibilità abbia parlato anche la scrittrice e attivista Naomi Klein: I view free-market ideology as a cover story for greed” spiegava alla giornalista Sophie McBain sulle pagine del The New Statesman. 

Vedo l’ideologia del libero mercato come una storia di copertura per l’avidità” si potrebbe tradurre, espressione a commento del suo libro This Changes Everything: Capitalism vs. the Climate del 2015 nel quale si parlava anche  della lotta al Cambiamento Climatico come un’opportunità (l’ultima… per la sinistra). Appello che purtroppo, ad oggi, rimane inascoltato.

Chi ha una dipendenza affettiva, finisce per dipendere, anche dagli oggetti e non ne ha mai abbastanza, senti dentro come se avessi diritto a un risarcimento, anche a spese dell’ambiente (come se tutti te lo dovessero, anche la natura…) che contribuisci a danneggiare accumulando beni che consumano risorse”, mi spiega la Busto. 

Perché potrei rinunciare a tutto tranne che ai libri

Io in tutto ciò mi riconosco poco,- per fortuna – tant’è che condivido, prendo in prestito, compro “usato” e dono parecchio, con la sola eccezione dei libri… e vedo che questo capita a molte persone. A spiegarmi cosa accade nel nostro subconscio è ancora una volta la dottoressa che sottolinea come il possesso di un grande numero di libri sia “legato a livello di costruzione identitaria, perché con essi si rappresenta la cultura”. Basterebbe pensare a tutte le dirette dei tempi della pandemia e delle zone rosse, chi poteva come sfondo metteva in bella mostra proprio le librerie. A pensarci bene, lo confesso, entrando in una casa noto subito se è piena di libri (sensazione che mi dà un certo benessere).

“In passato i libri denotavano una condizione elitaria. Chi poteva permettersi di leggere, studiare ma anche di acquistarli era chi faceva parte di certe classi sociali. Quindi nel nostro subconscio vi è un pregiudizio che viene dal passato nei confronti di una casa spoglia di libri”. Oggi “l’accessibilità alla cultura invece è a portata praticamente di tutti, avviene attraverso diversi canali e può essere gratis o a costi contenuti” prosegue la dottoressa che si è soffermata sul fatto che il riflettere su questi passaggi  storici e culturali sia oggi quanto mai fondamentale per una svolta nelle nostre abitudini.

La rivoluzione ambientale richiede di rimettere in discussione tutto

In questo momento storico stiamo assistendo ad un venir meno della funzione “genitoriale” non solo legata all’abbassamento delle nascite, ma rispetto alla funzione genitrice, fatta di una capacità di prendersi cura del “figlio” o del futuro  dell’ambiente che avrà intorno a sè e di chi ci sarà dopo di noi” mi fa riflettere la dottoressa. “La funzione di amore e cura va ricostruita l’altro e verso l’ambiente sono interconnesse e possono diventare nuovo nutrimento appagante del sé”.

Viviamo in un mondo profondamente diverso dal passato e ““quella che ci attende è una rivoluzione pari a quella industriale ma questa volta trattasi di quella ambientale. Tutto ciò richiede a ognuno di noi di rimettere in discussione praticamente molte cose” . Ognuno di noi, mi spiega Giovanna Busto, dovrebbe iniziare a porsi la domanda di che persona voglia essere nel mondo e che valore abbia per noi l’ambiente “possiamo essere narcisi al punto tale da dire a noi stessi che l’ambiente davvero non ci interessa?”. E a chi non si auto pone il quesito, dovremmo rivolgerlo noi spiegando che ognuno può essere protagonista del cambiamento, che ognuno di noi può avere valore in un sistema diverso, capire che non dobbiamo darci importanza cercando di avere di più degli altri o un modello di oggetto più costoso ma che ognuno di noi può essere importante nella sfida ambientale “e in questo i comunicatori e gli educatori hanno un ruolo fondamentale”.

La comunicazione strumento del cambiamento

Mostrare che esistono modelli di vita diversi, che oggi è possibile una vera e propria destrutturazione dei beni (pensiamo all’auto che posso prendere in sharing o a noleggio solo quando mi serve), ma anche informare sull’impatto ambientale delle nostre scelte diviene fondamentale per rendere le persone consapevoli e richiamarle al loro senso di appartenenza.   Far capire che ci sono altri valori che possono appagare come il fare la propria parte per il Pianeta o, nel privato, recuperare lo spazio intorno a noi, nelle nostre case, come anche il tempo (pensando a quello che perdo quando non ritrovo più le cose, come gli abiti quando provo a cercare qualcosa nell’armadio) e, non meno importante, dare valore agli oggetti che già abbiamo “ma tu gli abiti che hai nell’armadio li riesci a mettere tutti?” mi suggerisce di chiedere  la Busto cosa fare ove mi trovassi di fronte a un accumulatore seriale. 

Tra i più grandi accumulatori spesso ci sono i bambini… 

In chiusura quindi le chiedo un consiglio – che spesso viene domandato a me – relativo al rapporto con i nostri figli e i cumuli di oggetti che spesso abbondano nelle loro camere. 

Con i bambini – mi spiega la Busto – è importante lavorare per fare insieme a loro una cernita, spiegando di tenere solo quei giochi e libri verso cui conservano un ricordo profondo e che gli altri sono regalabili anche quando gli piacciono. Anzi, regalare magari ad un amico/a un libro che hanno amato può essere proprio la ragione per cui spieghiamo loro che dovrebbero donarlo, per condividere un pezzetto della loro felicità.

 

Letizia Palmisano Giornalista Ambientale

La sostenibilità non è solamente nel saper fare, ma anche nel far sapere. Letizia Ecoblogger e giornalista ambientale