eco blogger ed econewsGreen Economy e Economia CircolarePrimo piano

Vi racconto il mio splendido viaggio alla scoperta degli #AgrumidiSicilia

Con l’arrivo dell’estate uno dei gesti più consueti per gran parte di noi è quello di aprire il frigo, afferrare una bottiglia e stapparla per dissetarci con una fresca bevanda.

Ma tu, fresca bibita, da dove vieni? Come sei stata realizzata? Perché la percentuale di agrume presente nell’aranciata è completamente diversa da quella presente nel chinotto?

Per rispondere a queste domande basta fare attenzione alle informazioni riportate sull’etichette delle bottigliette.

Nel mio caso, lo confesso, ho un debole per il chinotto e dopo tanti anni di amore verso questa bevanda ho avuto la fortuna di ricevere l’invito da parte di Sanpellegrino a fare un viaggio tra Paternò, Giardini Naxos e Taormina alla scoperta dei luoghi dove nascono i chinotti, i limoni e le arance che finiscono nelle bevande agrumate del noto marchio.

Quanto agrume c’è in una bevanda e perché?

La risposta cambia da bevanda a bevanda. Proprio di recente, in Italia, è intervenuta una normativa (entrata in vigore lo scorso marzo) che ha innalzato al 20% la quantità minima di succo d’arancia che deve essere contenuta nelle bevande analcoliche per poter consentire ai produttori delle stesse di riportare sulle etichette la denominazione “aranciata” o di esporre sul pack immagini del medesimo frutto.  Su Il Fattore Alimentare una interessante tabella comparativa di pochi mesi fa indica le differenti percentuali utilizzate nella produzione dai diversi brand (e come Sanpellegrino – dal 2015 – già utilizzasse nella produzione il 20% di succo d’arancia).

Volete conoscere i dettagli della norma? E’ l’art. 17 della legge 161/2014 il quale statuisce che “le bibite analcooliche (…) prodotte in Italia e vendute con il nome dell’arancia a succo, o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino, devono avere un contenuto di succo di arancia non inferiore a 20 g per 100 cc o dell’equivalente quantità di succo di arancia concentrato o disidratato in polvere”.

La conseguenza di questa nuova regola sul mercato italiano? Vari produttori non hanno innalzato la percentuale di agrume utilizzato nella produzione e, di conseguenza, non potranno continuare a vendere le bevande prodotte denominandole “aranciata” (fateci caso quando andate al supermercato!).

E se le bevande al Chinotto venissero prodotte utilizzando il 20% di agrume? Sarebbero imbevibili! Ebbene sì: essendo un agrume molto acido ne basta davvero poco, anzi, una maggiore percentuale utilizzata nella produzione sarebbe eccessiva. Pensate al forte gusto di chinotto che sentite quando bevete un Chinò: ebbene, l’estratto di chinotto in esso contenuto è pari allo 0,5%. Avete mai visto in frutteria il chinotto insieme ad arance e mandarini? No, e non è un caso!

Un agrume, tante risorse

Nella due giorni siciliana ho avuto modo di scoprire i vari passaggi produttivi delle aranciate e limonate Sanpellegrino che partendo dalla produzione, raccolta ed estrazione del succo, conducono sino al concentrato che viene utilizzato come base delle bibite. Fra i tanti “misteri” che ho avuto modo di scoprire grazie agli esperti, ai tecnologi che ci hanno accompagnato e alla Canditfrucht, certificata EMAS, e alla famiglia Calabrò tre di sicuro mi sono rimasti impressi:

  • Dagli stessi agrumi si può estrarre l’olio essenziale e, senza rovinarne la buccia, la stessa potrà essere candita mentre, dalla parte interna del frutto, si ricaverà il succo;
  • Il succo può essere, a sua volta, concentrato (nel caso di Sanpellegrino fino a 6 volte). Cosa vuol dire? Ne viene ridotto il volume fino ad un sesto per rendere più semplice e veloce il trasferimento negli stabilimenti ove verrà creata la bibita.
  • Gli scarti della ditta? Finiscono in un impianto di biomasse!

La materia prima è fondamentale, come l’amore e la dedizione di chi si prende cura della terra

Vi ho raccontato l’esperienza partendo dal prodotto finale, ma è essenziale parlare della materia prima: le arance, i limoni e i chinotti.

Nel caso delle Bibite Sanpellegrino, gli agrumi che vengono lavorati per ottenere il prodotto finale sono di origine italiana e provengono dalle meravigliose terre della Sicilia e della Calabria. Nel nostro viaggio abbiamo potuto visitare due aziende. Nella prima tappa abbiamo avuto modo di conoscere l’Azienda Agricola Arcoria: dove la nostra guida, Giosuè Arcoria, ci ha raccontando la storia delle quattro generazioni che si sono succedute nella gestione dell’attività, della sua conversione al biologico, ci ha mostrato le diverse tipologie di piante coltivate nonché i “segreti” per una coltivazione sostenibile delle arance che vanno dall’uso minimo dei fertilizzanti al sistema di irrigazione a goccia che diventa essenziale in luoghi ove l’acqua rappresenta oro blu (pensate che l’acqua arriva da 100 km e viene accumulata in dei laghetti artificiali che coprono ben 7 ettari).

Nel pomeriggio abbiamo avuto modo di conoscere la famiglia Misitano titolare dell’Azienda Agricola Castrorao: tutti i Chinò che berrete hanno origine dalla loro azienda di 30 ettari nella zona dei Giardini Naxos secondo rigidi principi di lotta integrata e grazie al sistema di irrigazione a goccia.

Perché è fondamentale avere agrumi da aree diverse?

Ogni bevanda è realizzata secondo determinati criteri di qualità e sapore, ma il sapore degli agrumi cambia in base al territorio, alle stagioni, alla piovosità (o meno) e ovviamente ai cambiamenti climatici. Avere frutti da più aree permette di creare un blend di succhi che garantisca la qualità e il gusto durante tutto l’anno, come mi ha spiegato Antonio Lombardo Juice Fruit Technologist che segue proprio questa delicatissima fase.

Considerazioni finali?

Sono tornata dal viaggio molto più consapevole di ciò che finisce sulle nostre tavole. E ora? Mi son meritata una buona aranciata Sanpellegrino!

 

PS: concludo con questa bellissima foto di gruppo salutando i compagni di viaggio.

#branded

 

 

Letizia Palmisano Giornalista Ambientale

La sostenibilità non è solamente nel saper fare, ma anche nel far sapere. Letizia Ecoblogger e giornalista ambientale